Continua il progetto iniziato da Giorgio nel 1994 per esaltare l’unica varietà autoctona a bacca rossa della Marca Trevigiana. Le uve provengono da un vigneto di oltre sessant’anni.
L’Azienda Agricola Giorgio Cecchetto torna con Gelsaia 2020, il vino più iconico della realtà di Vazzola (Treviso). Nato da uve Raboso del Piave, con il suo nome evoca i gelsi, piante da sempre presenti nel territorio trevigiano, che nella storica forma di allevamento a Bellussera sono utilizzate come tutori vivi della vite. La borgognotta – bottiglia memore di antiche tradizioni in cui dimora Gelsaia – custodisce la sfida iniziata nel 1994 da Giorgio Cecchetto: riscoprire e rivalutare il vitigno a bacca rossa che più di altri ha scritto la sua storia nella valle del Piave.
“Dal 2013 Gelsaia viene prodotto da una vigna di oltre sessant’anni, allevata a sylvoz e situata a Mareno di Piave – spiega Marco Cecchetto –. Con l’introduzione del metodo di potatura Simonit&Sirch nel 2012 abbiamo iniziato un importante lavoro di recupero del nostro vigneto storico, salvandolo dall’estirpo. In questo modo siamo riusciti a riportare le viti a una produzione equilibrata e, grazie alla corretta distribuzione dei grappoli, abbiamo ottenuto la maturazione ottimale del Raboso. Nello specifico, la vendemmia 2020 è stata caratterizzata da un andamento climatico positivo che ha prodotto uve sane e di qualità, raccolte a mano tra la fine di ottobre e l’inizio di novembre”.
Giunto alla sua tredicesima interpretazione, Gelsaia è prodotto solo nelle migliori annate e racconta come un’immediata dolcezza possa coniugarsi all’acidità e al tannino propri del Raboso del Piave, donando all’assaggio una freschezza sorprendente. Il residuo zuccherino, che contraddistingue questo vino, si ottiene attraverso l’appassimento di una parte delle uve, tecnica introdotta da Cecchetto nel 1997 grazie alla collaborazione con una nota realtà vitivinicola del veronese.
Il Gelsaia, proprio per la sua vinificazione così particolare e per l’impiego di un vitigno autoctono che rischiava di essere dimenticato dal mondo enologico, è stato il precursore della Piave Malanotte DOCG.
La denominazione, riconosciuta nel 2010, nel suo disciplinare dichiara l’uso di sole uve Raboso e indica una proporzione di uve appassite che varia dal 15 al 30%.
Nel vigneto di Mareno di Piave (Treviso) – caratterizzato da un terreno alluvionale sciolto e ben drenato, con detriti ghiaiosi portati dalle piene del fiume – crescono le uve che danno vita a Gelsaia.
Dopo un’attenta e selezionata vendemmia, i grappoli sono in parte diraspati e pigiati, il restante 15%, invece, viene posto in appassimento nel fruttaio fino a metà dicembre. Il vino poi affina per 12 mesi in barrique di legno nuovo e usato.
Da qui nasce un rosso molto consistente, dal colore rubino intenso e fitto con incipienti riflessi granati.
La stratificazione dei profumi si concede un po’ per volta: le sensazioni di ciliegie in confettura e prugna introducono note di sottobosco, cioccolato fondente e rabarbaro.
Al palato emerge una freschezza marcata, una trama tannica di livello e una lunga persistenza fruttata.
Fonte Studio CRU
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